LA FORZA DELLA DIVERSITÀ UNISCE
C’è un obbligo Costituzionale a rispettare i diritti inviolabili delle persone, senza analizzare la nazionalità
o la religione, che comprende anche il diritto a essere trattati con dignità, secondo le proprie capacità
e i propri bisogni. Un obbligo che sarebbe prioritariamente della Repubblica, quindi dello Stato e del suo
governo, ma in questi ultimi tempi sembra non appartenere più a nessuno.
Anzi, recentemente, si ha la sensazione che la Solidarietà sia segnalata come “Buonismo” senza costrutto
e chi la pratica additato addirittura come fuorilegge o facinoroso che attenta alla sicurezza. Si legge: Chi
salva paga di tasca propria - Chi sviluppa modelli di accoglienza che funzionano, con un decreto istantaneo,
processato ed allontanato.
Ma delegittimare la Solidarietà è come dimenticare la legge universale Causa-Effetto: gli eventi avvengono
per una successione di azioni consequenziali.
Si comincia con la folla che, a Roma, si è scagliata contro la famiglia Rom che ha ottenuto la casa, dichiarando
in interviste -senza vergogna- la loro non appartenenza al genere umano civile: gente da sradicare
con la ruspa, da spostare di qui e di là senza rispetto, ostacolando ogni percorso di integrazione possibile.
Si potrebbe finire per vedere barche che organizzano viaggi nel Mediterraneo, alla caccia di naufraghi
senza regolare permesso; ogni naufrago un punto per un miglio gratis e, addirittura, viaggio gratuito se
si avvista una nave ONG. Follia pura, non voglio crederci!
Moltissimi anni fa insegnavo in una Scuola di barriera a Torino, avevo in classe due bambine di un campo
nomade sito alla fine di C/so Vercelli. Arrivavano tutte le mattine con il pulmino del Comune, nella
sala mensa, facevano colazione, si cambiavano i vestiti, si pettinavano per bene ed entravano in classe
con vestiti puliti e colorati, come principesse di altri paesi. Avevano un buon rapporto con la classe e studiavano
con profitto, partecipando a tutte le attività con entusiasmo. Arrivò il mese di marzo e per molti
giorni non vennero a scuola; in segreteria mi dissero che nessuno rispondeva al telefono, che al campo
non c’era il capo-famiglia e che nessuno diceva nulla. Non accettando quella risposta, una mattina chiesi
al direttore di farmi sostituire in classe e, insieme agli operatori scolastici, andai al campo. Con rispetto
e gentilezza, entrai nella roulotte principale e chiesi dei genitori delle bambine. Salutandoli con calore,
scoprii che avevano una banale influenza, che non avevano vestiti puliti decorosi perché non asciugavano
con l’umidità della stagione, ma soprattutto che il pensiero della famiglia era che nessuno si sarebbe
accorto della loro assenza, anzi un fastidio in meno per il personale della scuola. Spiegai di come le bambine
erano importanti per noi, lodai la loro bravura a scuola e la necessità della cultura. Mi sorrisero
orgogliosi e riportai le bambine a scuola la mattina stessa. Procurai dei vestiti per il cambio e le aiutai
a creare una nuova acconciatura per i capelli, con un nastro colorato tra le trecce. Entrarono in classe
alla seconda ora come piccole dive e nell’intervallo erano già circondate dalle compagne per intrecciare
braccialettini e collanine. Nessun pregiudizio di razza, colore, solo occhi che sorridevano, mani che si
stringevano, ragazzi che giocavano.
Ripensando a quel momento, a parte il fatto di essere contenta che non esistessero allora i decreti contro
i ribelli, sono convinta che il Bene ci sia, esista e resista, anche se a volte ce lo dimentichiamo!